Vita cristiana: non sia mai Quaresima senza Pasqua!

Ogni nuovo Papa espone il programma del proprio pontificato in una “Enciclica programmatica” inviata a tutta la Chiesa.

Il documento di Papa Bergoglio è la sua “Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium”, dal contenuto particolarmente ricco e suggestivo.

In essa Papa Francesco imposta la fede e la vita cristiana come tema centrale di gioia, espressa continuamente con le più belle affermazioni. Esaminiamole.

La gioia da cui tutti dobbiamo partire è quella della salvezza. In essa, Dio è il centro luminoso della festa e della gioia, che comunica al suo popolo con il grido salvifico e profetico: “Esulta grandemente, figlia di Dio, giubila figlia di Gerusalemme!” (Zc 9,9).

gioiaIl Papa rileva che questa gioia si vive anzitutto nelle piccole cose della vita quotidiana (n. 4). Tutto il Vangelo è un insistente invito alla gioia cristiana che scaturisce dal cuore di Cristo, sua fonte traboccante. Egli ha promesso ai discepoli: “la vostra tristezza si cambierà in gioia” (Gv 16, 20).

Papa Francesco, perciò, domanda immediatamente: perché non entrare anche noi in questo fiume di gioia? (n. 5). A ciò aggiunge anche un’affermazione ricca di arguzia e ironia sui “cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua”.

Vi aggiunge, però, anche un’altra affermazione ricca di umanità e di saggezza: “la gioia non si vive allo stesso modo in tutte le tappe e le circostanze della vita, a volte molto dure”. Ricorda, quindi, che anche in questi casi difficili essa rimane uno “spiraglio di luce” che non viene mai del tutto meno. Basandosi su di esso, perciò, “bisogna permettere che la gioia della fede cominci a ridestarsi”.

Ciò è possibile perché le grazie del Signore non finiscono mai, la sua bontà non si esaurisce mai, la sua fedeltà non viene mai meno. Egli ci rinnova questi doni ogni mattino, per cui dobbiamo aspettarli sempre, in un silenzio pieno di speranza e d’attesa (n. 6).

Conoscendo profondamente l’animo umano, Papa Francesco mette in guardia dalla tentazione più frequente e pericolosa, che consiste nel non credere o sperare più nella gioia.

Non la si cerca nemmeno più, lamentandosi o scusandosi che le proprie difficoltà non la consentono o le nostre sofferenze l’impediscono. Questo errore è diffuso nelle socioculture tecnoscientifiche, i cui oggetti, prodotti, pensieri ecc., possono dare solo piacere, ma mai vera gioia.

Le gioie più belle, spontanee, inesauribili, indistruttibili, vere, autentiche e perenni si attingono soltanto a un’unica fonte: l’immenso amore di Dio rivelatoci in Gesù Cristo.

Non provengono, quindi, dalle cose, oggetti, prodotti e pensieri umani, ma solo da una Persona: Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio. Il nostro vero e unico Redentore, Salvatore e Liberatore (n. 7).

Gualberto Gismondi


 

 

Giornata del malato11 febbraio. Giornata del malato e unzione degli infermi

Nell’ultimo secolo la valutazione della malattia ha subito un cambiamento decisivo. È divenuta un timore e un’angoscia per la vita umana. Assai sovente non è più connessa immediatamente alla morte, ma a stati di sofferenza anche prolungati.

Una parte notevole e crescente di persone la vede come senza-senso, assurda, priva di ogni rilievo umano positivo. La fede cristiana non si limita più a rassegnarsi ad accettarla, né vede alcuna valida soluzione nelle visioni radicali, laiche, secolarizzate e areligiose.

In senso antropologico, infatti, la malattia rimane un’esperienza umana molto forte, decisiva, aperta al mistero soprannaturale della vita. Quest’aspetto emerge, in particolare, nel sacramento cristiano specifico per gli infermi: la loro unzione.

Nell’Antico Testamento l’unzione aveva numerosi aspetti e significati, terapeutici, estetici e religiosi. Mediante l’unzione il Signore sanava, guariva, mondava, purificava, consacrava, rinnovava. Conferiva alle persone bellezza e santità, facendone creature in festa.

Nel Nuovo Testamento, Gesù operava le guarigioni come segno che il Regno di Dio è già qui, in noi e tra noi. Collegava, perciò, le guarigioni al perdono dei peccati, come anticipo della sua grande venuta finale nella storia.

Inoltre, Gesù volle condividere e prendere su di sé tutti gli aspetti propri della nostra debolezza, oscurità, sconforto e sofferenza. Respinse invece ogni collegamento fra peccato e malattia. La fede biblico-cristiana mostra come l’ammalato che implora, gridando la propria impotenza a salvarsi da solo, sia il luogo in cui Dio manifesta le sue opere di misericordia, bontà, salvezza, sostegno, conforto, consolazione e santificazione.

Gesù volle provare e condividere la nostra sofferenza umana per illuminarla col suo modo divino di viverla, ossia con il suo affidamento incondizionato all’amore del Padre.

La sofferenza, quindi, diviene la nostra condivisione della sua croce, ma anche della sua resurrezione e della sua gloria. Il Figlio di Dio ci ha guariti e salvati soffrendo. Continua a farlo tuttora.

Chi accetta di soffrire con lui contribuisce a guarire e a salvare una moltitudine di fratelli. Il sofferente è parte eletta del corpo di Cristo. Come tutte le altre membra non deve mai essere abbandonato o lasciato solo, ma sentirsi al centro di ogni premura.

Il credente infermo sa di poter vivere tale condizione di fragilità e di povertà, propria dell’esistenza umana, rendendola il completamento, nella propria persona, di ciò che ancora manca alla passione di Cristo. Sa che soffrendo condivide liberamente e volontariamente con Cristo la sua forma suprema di carità: offrire la propria sofferenza per la salvezza del mondo. 

Malattia e sofferenza, però, come attentati alla salute e alla vita, che sono grandi doni di Dio, costituiscono anche la massima forma di tentazione. Vanno affrontate, quindi, con tutte le forze. Di qui l’importanza del sacramento dell’unzione, soprattutto per rafforzare e santificare lo spirito e anche per guarire il corpo.

Perché ciò avvenga è necessario che tutti, Chiesa, comunità e singoli, sostengano ogni ammalato che, evangelizzato, può a sua volta evangelizzare gli altri ammalati e anche i sani.

La speranza che nasce da Cristo sofferente, crocifisso e risorto, conferisce anzitutto serenità, pace e forza allo spirito. Può anche ridare salute e vigore al corpo.

Per gli anziani, la grazia dell’unzione, illumina e conforta la loro progressiva debolezza ed eventuali infermità, conferendo fiducia e speranza per l’incontro con Cristo Signore che si avvicina, portando i doni della vita eterna e della risurrezione.

Gualberto Gismondi


 

Presentazione del Signore GesùPresentazione di Gesù al tempio (Candelora)

Nell’Antico Testamento si dovevano consacrare a Dio tutte le primizie. I primogeniti, in particolare, dovevano essere offerti e consacrati a Dio entro il quarantesimo giorno. Per questo Gesù fu presentato al tempio, da Maria e Giuseppe.

Questo fatto importante fu ben presto celebrato solennemente dalle Chiese d’Oriente e d’Occidente. Per la fede cristiana esprimeva l’incontro con il Signore luce delle genti, che in Oriente era detto “Ypapante”.

I fedeli si riunivano quando era ancora notte, in processione, per recarsi all’incontro. La meta era, in Oriente, la basilica dell’Anastasis o Resurrezione, dai latini detta Santo Sepolcro e a Roma la Chiesa di S. Maria Maggiore.

I ceri accesi illuminavano il cammino notturno e raffiguravano la fede. Unendosi lungo il cammino i fedeli diventavano un grande processione di luce, che squarciava le tenebre della notte.

Arrivati alle Chiese al sorgere del giorno, celebravano l’Eucaristia. La luce delle candele simboleggiava il Cristo che vince le tenebre e conduce tutta l’umanità alla piena luce divina.

Questa festa suggestiva divenne molto popolare e perdura, ormai, da più di sedici secoli. Le candele benedette e distribuite sono conservate con fede e amore. La pietà popolare la chiama “Candelora”.

I caratteri della festa sono bene espressi dal Vangelo (Lc 2, 22-40). Gesù l’Unigenito-Primogenito è consacrato al Padre per la sua missione. Incontro a Maria col Bambino vanno Simeone e Anna, due “giusti”, molto avanti negli anni, che rappresentano l’attesa del Salvatore, vissuta dall’umanità lungo i secoli.

Maria fu la prima ad incontrare Cristo, accogliendolo nella propria carne, accompagnandolo fino ai piedi della Croce, al sepolcro e, poi, alla Risurrezione. Rappresenta, perciò, tutta l’umanità che va incontro aDio, alla luce del Natale e della Pasqua, al prezzo, però, di una dolorosa trafittura di spada, per l’anima. Così annuncia la profezia di Simeone.

Nel tempio, Anna loda Dio e poi va a parlare del bambino in tutta Gerusalemme.

Questi fatti ispirano profonde considerazioni per la nostra vita cristiana. Eccone alcune.

Andiamo sempre incontro al Signore, perché la sua luce divina illumini sempre le nostre tenebre umane.

Non temiamo mai le tenebre del mondo, ma illuminiamole coraggiosamene con la luce della nostra fede. Unire sempre la nostra luce piccola e tremolante a quella della comunione ecclesiale, che ne fa un torrente di luce che avanza e dilegua ogni oscurità.

Continuiamo sempre a camminare nelle notti tenebrose, per giungere all’alba luminosa, nel tempio inondato di luce, che è Cristo stesso.

CandeloraÈ Gesù, infatti, l’unico vero e intramontabile sole di verità e di giustizia. Per questo la Chiesa conclude ogni giorno la sua preghiera col bellissimo cantico di Simeone: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele”.

Ripetiamola sempre nel nostro cuore, per poterla cantare, con gioia, del nostro incontro definitivo con Gesù, il Signore di ogni luce.   

Gualberto Gismondi