11 febbraio. Giornata del malato e unzione degli infermi
Nell’ultimo secolo la valutazione della malattia ha subito un cambiamento decisivo. È divenuta un timore e un’angoscia per la vita umana. Assai sovente non è più connessa immediatamente alla morte, ma a stati di sofferenza anche prolungati.
Una parte notevole e crescente di persone la vede come senza-senso, assurda, priva di ogni rilievo umano positivo. La fede cristiana non si limita più a rassegnarsi ad accettarla, né vede alcuna valida soluzione nelle visioni radicali, laiche, secolarizzate e areligiose.
In senso antropologico, infatti, la malattia rimane un’esperienza umana molto forte, decisiva, aperta al mistero soprannaturale della vita. Quest’aspetto emerge, in particolare, nel sacramento cristiano specifico per gli infermi: la loro unzione.
Nell’Antico Testamento l’unzione aveva numerosi aspetti e significati, terapeutici, estetici e religiosi. Mediante l’unzione il Signore sanava, guariva, mondava, purificava, consacrava, rinnovava. Conferiva alle persone bellezza e santità, facendone creature in festa.
Nel Nuovo Testamento, Gesù operava le guarigioni come segno che il Regno di Dio è già qui, in noi e tra noi. Collegava, perciò, le guarigioni al perdono dei peccati, come anticipo della sua grande venuta finale nella storia.
Inoltre, Gesù volle condividere e prendere su di sé tutti gli aspetti propri della nostra debolezza, oscurità, sconforto e sofferenza. Respinse invece ogni collegamento fra peccato e malattia. La fede biblico-cristiana mostra come l’ammalato che implora, gridando la propria impotenza a salvarsi da solo, sia il luogo in cui Dio manifesta le sue opere di misericordia, bontà, salvezza, sostegno, conforto, consolazione e santificazione.
Gesù volle provare e condividere la nostra sofferenza umana per illuminarla col suo modo divino di viverla, ossia con il suo affidamento incondizionato all’amore del Padre.
La sofferenza, quindi, diviene la nostra condivisione della sua croce, ma anche della sua resurrezione e della sua gloria. Il Figlio di Dio ci ha guariti e salvati soffrendo. Continua a farlo tuttora.
Chi accetta di soffrire con lui contribuisce a guarire e a salvare una moltitudine di fratelli. Il sofferente è parte eletta del corpo di Cristo. Come tutte le altre membra non deve mai essere abbandonato o lasciato solo, ma sentirsi al centro di ogni premura.
Il credente infermo sa di poter vivere tale condizione di fragilità e di povertà, propria dell’esistenza umana, rendendola il completamento, nella propria persona, di ciò che ancora manca alla passione di Cristo. Sa che soffrendo condivide liberamente e volontariamente con Cristo la sua forma suprema di carità: offrire la propria sofferenza per la salvezza del mondo.
Malattia e sofferenza, però, come attentati alla salute e alla vita, che sono grandi doni di Dio, costituiscono anche la massima forma di tentazione. Vanno affrontate, quindi, con tutte le forze. Di qui l’importanza del sacramento dell’unzione, soprattutto per rafforzare e santificare lo spirito e anche per guarire il corpo.
Perché ciò avvenga è necessario che tutti, Chiesa, comunità e singoli, sostengano ogni ammalato che, evangelizzato, può a sua volta evangelizzare gli altri ammalati e anche i sani.
La speranza che nasce da Cristo sofferente, crocifisso e risorto, conferisce anzitutto serenità, pace e forza allo spirito. Può anche ridare salute e vigore al corpo.
Per gli anziani, la grazia dell’unzione, illumina e conforta la loro progressiva debolezza ed eventuali infermità, conferendo fiducia e speranza per l’incontro con Cristo Signore che si avvicina, portando i doni della vita eterna e della risurrezione.
Gualberto Gismondi