Il sepolcro vuoto: prova o indizio?

 

Nel suo discorso nella sinagoga di Antiochia di Pisidia S. Paolo annunciò a tutti i suoi ascoltatori: “Noi vi annunziamo la Buona Novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù” (At 13,32-33).

Fin dagli inizi della loro predicazione, gli Apostoli annunciarono che: “la risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo”.

La risurrezione, quindi, “fu creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del mistero pasquale insieme con la croce:

Cristo è risuscitato dai morti. Con la sua morte ha vinto la morte, Ai morti ha dato la vita” [Liturgia bizantina, Tropario di Pasqua] (CCC 638).

Gli Apostoli non annunciavano una dottrina o un pensiero, ma un fatto, un dato, un evento. “Il mistero della risurrezione di Cristo è un avvenimento reale che ha avuto manifestazioni storicamente constatate”.

Il Nuovo Testamento dimostra che già verso l'anno 56 san Paolo scriveva ai cristiani di Corinto: “Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici” (1Cor 15,3-4).

L'Apostolo parla qui della tradizione viva della risurrezione che egli aveva appreso dopo la sua conversione alle porte di Damasco [At 9,3-18] (CCC 639).

Tutto cominciò con la domanda che due uomini in vesti sfolgoranti rivolsero alle donne tremanti e impaurite, perché non avevano trovato nel sepolcro il corpo del Signore.

Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato” (Lc 24,5-6).

sepolcro vuotoI Vangeli indicano chiaramente che “nel quadro degli avvenimenti della pasqua, il primo elemento che si incontra è il sepolcro vuoto”. In sé, questa non è una prova diretta, perché l’assenza del corpo di Cristo nella tomba si potrebbe spiegare anche altrimenti [Gv 20,13; Mt 28,11-15].

Malgrado ciò, però, il sepolcro vuoto costituì per tutti un segno essenziale e fu il punto di partenza. La sua scoperta da parte dei discepoli fu il primo passo verso il riconoscimento dell’evento della risurrezione.

Dapprima fu il caso delle pie donne [Lc 24,3.22-23], poi di Pietro (Lc 24,12). Il discepolo “che Gesù amava” (Gv 20,2) afferma che, entrando nella tomba vuota, e scorgendo “le bende per terra” (Gv 20,6), vide e credette [Gv 20,8].

Ciò significa che, dallo stato in cui si trovava, egli constatò che il sepolcro era vuoto [Gv 20,5-7] e che l’assenza del corpo di Gesù non poteva essere opera umana. I Giudei, infatti, non potevano assolutamente averlo fatto, mentre i discepoli non lo avevano fatto.

Gesù, quindi, non era stato trafugato, né tornato a una vita terrena, come era avvenuto per Lazzaro [Gv 11,44] (CCC 640). Giovanni dice di sé che: “vide e credette” (Gv 20,8).

Il suo commento successivo, “non avevano, infatti, ancora compreso la Scrittura” (20,9) sottolinea quanto fossero impreparati a tale evento, sia lui che tutti gli altri Apostoli e discepoli, benché le Scritture ne avessero ampiamente trattato e Gesù stesso ne avesse parlato più volte.

Gualberto Gismondi OFM