quaresima 2018Quaresima: penitenza e conversione nell’Antico Testamento

Si sta avvicinando la Quaresima ossia un tempo forte, definito penitenziale.

Già nell’Antico Testamento e nel corso del tempo il termine penitenza ha rivestito diversi significati. Per chiarirli, ricordiamo che nella Scrittura, il termine più significativo è “pentimento”, che comprende diversi aspetti.

Fra questi è fondamentale quello di cambiamento. Tali cambiamenti riguardano: la mente, il cuore, gli atteggiamenti, i comportamenti, le intenzioni, le disposizioni ecc. Come si vede, essi riguardano le componenti e i compiti più importanti della persona.

Inoltre, tutti devono essere ispirati dal rincrescimento e mossi dal dolore per i propri peccati e quelli del popolo. Il pentimento, inoltre, deve essere sempre unito alla volontà di conversione, che ne fa parte.

La conversione è l’atteggiamento col quale l’uomo si orienta decisamente verso Dio. La Bibbia indica questo fatto con espressioni come: “cercare Dio”, “cercare il volto di Dio”, “fissare il cuore in Dio”, “umiliarsi di fronte a Dio” ecc. Al riguardo, ricorre più volte il termine “sûb”, che vuol dire: ritornare, cambiare strada, invertire il cammino.

Una parola che lo traduce bene è “convergere”. Si converge verso Dio, contrariamente al peccato che fa “divergere” ossia allontanare da Dio. Si volgono le spalle al male e al peccato, per volgersi al volto di Dio e camminare verso di lui e con lui.

Questo è l’aspetto centrale della conversione, che attua il cambiamento dei propri modi di pensare, sentire, agire nella propria condotta pratica e in tutto il comportamento.

Il livello interiore più profondo della conversione è la metànoia che unisce insieme: cambiamento, pentimento, conversione e penitenza. Ecco, quindi, la vera penitenza, nel suo senso più autentico.

Nell’Antico Testamento, tuttavia, pur indicando ciò, essa assunse un significato ristretto, indicando le pratiche penitenziali come: digiunare (Giud 20,26), vestirsi di sacco (1Re 20,31; Is, 22-12) stendersi sulla cenere (Is 58,5), far sacrifici (Num 16,6,15) ecc. I limiti e i pericoli di tali aspetti furono l’esteriorità e la superficialità.

Dio, perciò, mandava i suoi profeti a ricordare che la vera penitenza è sincera conversione interiore, ispirata dall’amore a Dio e al conoscere e compiere la sua volontà. Senza questo, le pratiche penitenziali esteriori non proteggono dall’indurimento del cuore.

Le vere opere dell’autentico convertirsi e pentirsi, quindi, risiedono nel cercare la giustizia di Dio e soccorrere con amore il proprio prossimo in tutte le sue necessità.

La Bibbia indica, in particolare: oppressi, poveri, vedove, orfani, malati, perseguitati, prigionieri e forestieri.

Quest’amore è la garanzia di un cuore veramente contrito, che prepara la strada a Dio mediante la piena attuazione della sua volontà. Tutto ciò si svolge in un’atmosfera che è fatta di attesa e d’impegno, vissuti con gioia e speranza, rispondendo all’invito: “Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino” (Mt 3,2).

Gualberto Gismondi